Prandelli è stanco: lo stress da panchina vale doppio

Prandelli e lo stress da panchina: “Sono stanco” è una motivazione più che valida.

Cesare Prandelli e la stanchezza di allenare. Che è un po’ quella maturata da ognuno di noi proprio nei vari ambiti della vita. La ripetitività, l’ansia di fare risultati, il rendere meno quando tutti si aspettano le prestazioni della vita. Così Cesare Prandelli si è fatto portavoce dei tempi, quel suo “sono stanco” è un messaggio forse fin troppo sottovalutato in un mondo che corre troppo di fretta. Prendersi tutte le responsabilità è un inno alla stanchezza, allenare una squadra costruita male e impostata peggio di certo non aiuta a migliorare le cose.

Fermo restando che il tecnico di Orzinuovi si è re-inserito in una situazione più grande di lui. Come se non fosse bastata l’esperienza del Genoa, aver che fare con Enrico Preziosi leva un po’ a tutti qualche anno di vita se la salvezza arriva sempre – e perentoriamente – all’ultima giornata.

E il subentrare a Beppe Iachini, quest’anno, ha accentuato il senso di stress. Prandelli ha impostato il gioco offensivo su Dusan Vlahovic, è lui il centravanti della Fiorentina, senza se e senza ma. E i fatti gli hanno dato ragione, con l’esplosione del talento serbo arrivata già ben prima della sua tripletta al Benevento. Quella è stata in sostanza la ciliegina sulla torta di una stagione in crescendo, il guaio della Fiorentina è che a crescere è stato solamente l’attaccante.

Lo stress e la voglia di allenare in futuro

Prandelli osserva la Fiorentina - getty images
Prandelli preoccupato per la sua Fiorentina – Getty images

Crediamo, forse senza nemmeno troppa preveggenza, che le strade tra Cesare Prandelli e la Fiorentina si interromperanno alla fine del torneo, se non addirittura prima. Proprio per questo senso di stanchezza maturata da un tecnico che, nel bene e nel male, ci ha sempre messo la faccia.

Già con la Nazionale aveva mostrato dei segni di indifferenza verso il mondo del calcio così frenetico, quando fece interrompere il campionato per consentire ai giocatori dell’Italia di giocare per fini solidali in molti lo considerarono un alieno.

Prandelli, però, è andato per la sua strada. Anche sbagliando, come nel caso del Mondiale del 2014: affidarsi a Balotelli e Cassano per un mondiale era come affidarsi a Morgan per avere un festival di Sanremo tranquillo. Così, le scelte professionali del tecnico si sono suddivise tra l’estero e l’Italia, con risultati non troppo fortunati.

Il ritorno a Firenze poteva essere una scintilla d’amore, un ritorno nei luoghi dove si scrissero pagine importanti di storia. Ma non c’erano né la Champions League, né Toni e né Della Valle ad attenderlo, ma solo una piazza disillusa e abituata a soffrire, nemmeno tanto in silenzio.

Il grido d’aiuto, sostanzialmente, di Prandelli è il messaggio dei nostri tempi. Frenetici, di preoccupazione per quanto succede nel quotidiano, e senza nessuna certezza per il futuro.

Impostazioni privacy