Comproprietà: quel mercato all’italiana che ci manca

 

Di questi periodi, il calcio italiano era impegnato con il fenomeno delle comproprietà, un atto tipico del calciomercato che spesso ha regalato sorprese.

C’era una volta la comproprietà. Uno degli elementi tipicamente italiani del calciomercato, scomparsa solo di recente (nell’estate del 2015) e che spesso teneva banco per giorni. Un classico del nostro calcio, durato per decenni, tra grandi affari, mezze fregature, opportunità a basso costo e calciatori indesiderati e tornati alla casa base a zero lire o euro.

Gli affari delle comproprietà erano quasi da casinò, si poteva investire sin da subito oppure trovare una formula successivamente. Prendere la metà letteralmente di un calciatore, e poi saldarla a fine stagione secondo accordi prestabiliti, oppure fare una sorta di “guerra” per ottenerla.

Non sempre il calciatore venduto al 50% era riacquistato al 100%: infatti, la grande prestazione faceva lievitare decisamente il costo e metteva la squadra più forte nelle condizioni migliori. Così come erano le piccole compagini a far la voce grossa, addirittura presentandosi con soldi mai pensati nel riscatto, per poi cedere, dopo una decina di giorni, il loro talento a una delle big.

Tutto lecito per le comproprietà, vizio tipicamente italiano. Che ora quasi rimpiangiamo, perché ogni prestito è con il diritto di riscatto, con opzioni varie e con metodi creativi ma forse meno romantico.

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Paolo Rossi e tutti gli altri

Cristian Zapata - Getty Images
Uno degli ultimi casi di comproprietà fu Zapata tra Milan e Villareal – Getty Images

Il primo caso di comproprietà famoso forse si lega a Paolo Rossi, che fu riscattato dal Vicenza per due miliardi e mezzo, dopo averlo inizialmente comprato al 50% per cento milioni di lire.

Cifra assurda per l’epoca, la Juventus fu beffata sul più bello, quando credeva di avercela fatta. Andare alle buste era un rischio: le due squadre dovevano consegnare la loro offerta chiusa e sigillata, chi metteva la cifra più alta si accaparrava il calciatore in questione.

Le buste erano un elemento spassoso: intorno alla ventina di giugno, solitamente, c’era la loro apertura. Lunga era la lista dei calciatori che venivano comprati in questo modo dalla Serie A alla Serie C. Non sempre c’erano dei fenomeni, molte volte erano giovani presi a due lire.

Così, capitavano i grandi affari per le piccole con il meccanismo già accennato, mentre la vita dura era quella degli indesiderati. Che avevano un ingaggio pesante, erano stati comprati in comproprietà, ma avevano deluso inevitabilmente.

Ebbene nessuna delle squadre metteva soldi, quindi il diritto toccava all’ultima squadra che aveva tesserato il calciatore. Che poi passava, inevitabilmente, fuori rosa o quasi.

Un meccanismo all’italiana, calciatori che così si svalutavano completamente. Altri acquistati per cifre simboliche (500mila lire o 1000 euro), altri ancora  pregavano i loro procuratori di non arrivare a queste soluzioni quanto meno imbarazzanti.

Era la fiera dei sogni ma anche delle vicende tragicomiche. Le comproprietà erano comunque qualcosa da osservare con una certa curiosità.

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