Pelé, 80 anni di una leggenda: Santos e Cosmos grandi amori

Una vita sola non può bastare per abbracciare la storia di Pelé. Un uomo icona, il monumento del calcio. Una leggenda, a partire dal soprannome che non ha un’origine chiara. O’Rey accredita la versione secondo la quale deriva da una storpiatura di Bilé, con cui era conosciuto un portiere compagno di squadra di suo padre al Vasco de Gama. A Pelé, da bambino, piaceva mettersi in porta, così i tifosi del Vasco avrebbero iniziato a chiamarlo come Bilé. Poi evoluto in Pelé.

Al Santos, all’inizio, era conosciuto come Gasolina. Era un’idea di Zito che ha vinto due Mondiali e scoperto Neymar. Non aveva a che fare con la benzina, ma con una cantante brasiliana famosa all’epoca che si faceva chiamare così.

Pelé, dai Santos ai Cosmos: la parabola di una leggenda

Pelé, dai Santos ai Cosmos: la parabola di una leggenda
Pelé, dai Santos ai Cosmos: la parabola di una leggenda

Pelé, che da piccolo ha paura del buio, al Santos diventa la luce del calcio. Al Santos ha giocato 19 anni. Ha vinto 10 titoli paulisti, 5 coppe nazionali consecutive, allora l’unico torneo a carattere nazionale, due Coppe Libertadores, due Coppe Intercontinentali. Ha scoperto la felicità come calciatore, fino al 2 ottobre 1974. E’ il giorno della sua ultima partita ufficiale con la squadra simbolo della sua carriera.

A metà primo tempo prende il pallone con le mani, lo mette nel centro del centrocampo, si inginocchia e allarga le braccia. Quel giorno, ha scritto, “non ero più Pelé. Ero tornato di nuovo solo Edson Arantes do Nascimento”.

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I tre Mondiali con il Brasile

Ma un anno dopo, torna Pelé. Accetta l’offerta dei Cosmos di New York che lo riempiono d’oro. Pelé ha bisogno di soldi e si rimette in campo. Gioca con Giorgio Chinaglia, e non andranno molto d’accordo, Franz Beckenbauer, Carlos Alberto il terzino che segnò l’ultimo gol della finale mondiale del 1970, uno dei più belli di sempre in Coppa del Mondo.

Chiude la carriera il primo ottobre del 1977, con un’amichevole commovente, Cosmos-Santos. Gioca il primo tempo per gli americani, il secondo con i brasiliani che si riappropriano dell’icona esportata all’estero. Il 9 aprile 1978 George Best lo premia come miglior giocatore del mondo. Succede al Rose Bowl di Pasadena. Sedici anni dopo, in quello stesso stadio, Baggio non avrebbe avuto paura di tirare un calcio di rigore. Da quei particolari non si giudicano i giocatori, ma si decidono i Mondiali. Il Brasile diventa campione del mondo per la quinta volta, la prima dopo Messico ’70.

Fu la sua ultima recita in nazionale. Aveva iniziato con Didì, Vavà e Garrincha nel 1958. Vinse il suo terzo Mondiale con Rivelino, Gerson e Carlos Alberto nella squadra dei numeri dieci scintillante per le prime trasmissioni tv a colori. In finale, segnò l’ultimo dei suoi 77 gol con la maglia verdeoro galleggiando sulla testa di Burgnich. “Prima della partita mi sono detto: ‘È fatto di carne e ossa come tutti gli altri’ – ha rivelato il difensore azzurro – Mi sbagliavo”.

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