Maradona politico, storia dell’amicizia con Fidel Castro

Maradona e Fidel Castro, storia di una lunga amicizia, di un feeling che racconta il lato più politico del Pibe de Oro

“Le idee non si negoziano”. Così Diego Maradona raccontava, in una lettera pubblicata nel 2015 sul quotidiano cubano Granma 2015, la principale lezione che aveva tratto dall’amicizia con Fidel Castro.

In quello scambio epistolare si alternano il ritratto di un leader che ha iniziato una rivoluzione e del campione che ha cambiato il calcio.

Dal primo incontro nel 1987, Maradona è più volte tornato a Cuba. Ha scelto l’isola per la prima disintossicazione, nel 2000. Arrivò gonfio e con improbabili capelli ossigenati. Ne uscì più simile alla versione amata sui campi di tutto il mondo. Il Pibe ha regalato al leader cubano la maglia del suo esordio con il Newell’s Old Boys e l’Albiceleste con il numero 10 e l’autografo. Nel 2005 l’ha anche intervistato nel palazzo presidenziale: uno scoop per Canal 13, dove conduceva la sua trasmissione.

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Maradona “moderno Bolivar”, il feeling con Castro

Maradona "moderno Bolivar", il feeling con Castro
Maradona “moderno Bolivar”, il feeling con Castro

“Per me, il Comandante è Dio” ha detto una volta Maradona, che si è fatto tatuare Castro su una gamba. Sul braccio, invece, aveva l’immagine di Che Guevara, icona pop grazie ad Alberto Korda. Castro ha sfruttato lo sport come strumento di promozione dell’orgoglio nazionale.

L’assalto alla Moncada di Santiago di Cuba il 27 luglio 1953 segna simbolicamente l’inizio della rivoluzione castrista. A poche ore dal 23mo anniversario, il 26 luglio 1976, Alberto Juantorena regala a Cuba la prima medaglia olimpica di sempre nell’atletica. Nel 2001 diventerà ministro dello sport. Suo nipote Osmany fuggirà con sedici ragazzi della nazionale di pallavolo: sarà un’icona della nazionale italiana.

Dopo l’intervista del 2005, Castro ha regalato a Maradona un paio di guantoni da boxe di Teófilo Stevenson, tre volte campione olimpico che rinunciò al professionismo. Maradona si è fatto portavoce di un certo ribellismo. Paolo Condò ne parlava anni fa come di un moderno Simon Bolivar. Se parlano i presidenti dell’America Latina, diceva, “i media li ignorano. A me invece danno ascolto”.

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