Maradona compie 60 anni: gli anni del Pibe de oro a Napoli

Maradona è l’Argentina e l’Argentina è Maradona. Il Pibe de Oro ha incarnato come nessun altro l’immagine del calcio come libertà e riscatto

Una figura imprevedibile per definizione. Il sociologo argentino Eduardo Archetti sintetizza così l’archetipo del “pibe”, per certi versi affine alla tipologia dello “scugnizzo”. Una figura che fonde qualità furbizia, creatività e arte dell’improvvisazione.

Essere “pibe”, scrive in “The spectacle of a heroic life: Diego Maradona”,significa non sentire la pressione dell’ordine costituito. E implica, anche, che è più facile vederne solo gli aspetti positivi e perdonarne le imperfezioni”. A Napoli, al Pibe è comparso come un’apparizione per condurli in sette anni lungo un sogno, le hanno perdonate tutte.

“Ero nel calcio da 15 anni. Il Napoli si piazzava secondo, ottavo, quarto. Mi dissi: o smetto o compro Maradona” diceva nell’estate del 1984 l’allora presidente del club Corrado Ferlaino. Per due volte avrebbe potuto prenderlo la Juventus. Prima nel 1981, ma Agnelli disse no per timore delle reazioni degli operai alla FIAT a un anno dalla marcia dei quarantamila. Poi nel 1984, perché ha già Platini.

Juliano, direttore sportivo del Napoli, è tentato dalla possibilità che matura grazie all’intermediazione di Pierpaolo Marino, allora ds dell’Avellino. Maradona è in crisi con il Barcellona, Ferlaino ha un sogno. Lo realizza in poco più di un mese. I giornali l’avrebbero chiamata “Operazione San Gennaro”.

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Maradona, l’oro di Napoli: scudetto e Coppa Uefa

Maradona, l'oro di Napoli: scudetto e Coppa Uefa
Maradona, l’oro di Napoli: scudetto e Coppa Uefa

Il Barcellona chiede undici miliardi. Enzo Scotti, il sindaco e soprattutto potente vicesegretario della DC, ottiene garanzie dalle banche. I blaugrana continuano a giocare al rialzo ad ogni incontro. Mentre Ferlaino deposita in Lega una busta vuota spacciandola per il plico con il contratto, Juliano gioca l’ultima carta. Racconta che Maradona è un diversivo, che il Napoli sta per comprare Hugo Sanchez del Real Madrid. Il Barcellona si convince, di notte viene sostituita la busta vuota con quella che contiene il vero contratto del Pibe.

Napoli mille colori, antica capitale di un regno, si scopre devota a un umano, troppo umano, dio del calcio che stravolge le gerarchie e incarna il disordine del genio.

Alle 17.47 del 10 maggio 1987 Napoli entra nella geografia del calcio. Per la prima volta, una città del sud ha vinto il campionato di Serie A. Dopo l’1-1 con la Fiorentina che sancisce lo scudetto, Ferlaino gira per la città in festa con sua moglie e il direttore del quotidiano il Mattino. In occasione del ventesimo anniversario, ha raccontato le sue emozioni di allora all’ANSA. “Vedemmo le diverse manifestazioni di gioia tra Chiaia e Forcella, e capimmo fino in fondo quelle due Napoli che spesso non si parlano”.

Due Napoli che insieme scrivono un’altra rivincita nel 1988 in Coppa UEFA. Maradona si accende dai quarti di finale. Di fronte c’è la Juve, l’avversaria della punizione impossibile del 1985. L’avversaria battuta 5-3 in campionato a Torino con tripletta di Careca. All’andata finisce 2-0 per i bianconeri al Comunale, al ritorno segnano Maradona su rigore, Carnevale e Renica nei supplementari.

Maradona illumina anche i comprimari, avvolti nella stessa luce. Il Pibe è decisivo nel 2-0 all’andata sul Bayern Monaco. In Baviera, il suo riscaldamento regala fama immortale a “Live is Life” degli Opus. Balla prima e durante la partita, il Pibe, squaderna magie e assist. Al ritorno il Napoli pareggia 2-2 con doppietta di Careca e si prepara alla finale con lo Stoccarda. Gaudino risveglia un Napoli timoroso. La svolta la dà ancora Maradona che induce il fallo di mano di Schäfer e trasforma il rigore. Poi, a 3′ dal termine, appoggia a Careca che ribalta la partita.

Al Neckarstadion, è il suo assist di testa a Ferrara a fare la storia. Il difensore si traveste per un giorno da Careca e segna il 2-1. Il brasiliano, quello vero, firma il 3-1. I napoletani, come il presidente Pertini al Bernabeu nella finale del Mundial ’82, cominciano a pensare: “Adesso non ci prendono più”. Il 3-3 finale serve solo alle statistiche. Maradona festeggia la nascita della figlia Janina e la rivincita per tutti i napoletani, anche quelli emigrati in Germania.

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Anche i sogni finiscono all’alba

Dopo il secondo scudetto, la storia inizia il suo malinconico finale il 7 novembre 1990. In una partita che non avrebbe voluto giocare, in una Mosca gelata, il Napoli perde contro lo Spartak ai rigori negli ottavi di Coppa dei Campioni. La notte prima della partita, Maradona ha visitato il mausoleo di Lenin corrompendo anche una guardia. E’ tornato in albergo alle tre di notte. Le sue Idi di Marzo le vive contro il Bari, nell’anticipo di primavera del 1991. Gioca novanta minuti grigi, anonimi. Viene sottoposto a un controllo antidoping, e il verdetto si saprà la settimana successiva dopo il 4-1 alla Sampdoria, dopo il suo ultimo gol in Serie A. Il test è positivo, Maradona ha assunto cocaina.

“Pensa che giocatore sarei potuto essere se non avessi preso la cocaina” ammetterà nel film documentario che gli ha dedicato Emir Kusturica. C’è chi parla di complotto, si tirano fuori le foto con esponenti dei clan o presunte volontà di fargliela pagare per l’eliminazione dell’Italia ai Mondiali del ’90. Ma i problemi di Maradona con la droga non riguardano il campo, anche se in quei mesi si impastano dentro un rapporto sempre più freddo con Napoli e il club.

“Non ho fatto male a nessuno, se non a me stesso e alla mia famiglia” ha detto anni dopo Gianni Minà. “Confesso la mia fragilità, anche se la mia presunzione e il mio orgoglio mi facevano apparire diverso. Ma chi poteva darmi una mano non me l’ha voluta dare quando potevo salvarmi”. Essere pibe significa anche restare soli.

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