Dimissioni in panchina: l’Italia non è un paese per mister sinceri

Le dimissioni sono una rarità nel calcio italiano, per non dire proprio nel sistema della nostra nazione. Rinunciare agli stipendi è cosa alquanto infrequente.

L’addio di Cesare Prandelli alla Fiorentina è stato visto quasi come un evento incredibile, in particolare in molti si sono stupiti delle sue dimissioni. Non per il gesto in sé, quanto per il fatto di aver rinunciare anche agli emolumenti. Ricordando come chi fa questo mestiere in Serie A non ha bisogno di trovare soldi a tutti i costi, in effetti c’è da considerare come il gesto delle dimissioni sia una rarità in Italia.

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Il calcio, in effetti, non sfugge da questa logica. Gli esoneri arrivano a grappoli, le separazioni consensuali sono pochi, gli addii volontari dei tecnici si toccano addirittura sulle dita di una mano. Ed è sicuramente qualcosa da registrare, mentre negli altri paesi non è una rarità, un tecnico lascia la squadra in assoluta tranquillità.

Di addii calcistici, ormai, se ne ricordano pochi, proprio perché il sistema fagocita un po’ tutto. I presidenti hanno spesso la media di due o tre allenatori esonerati con relativo staff, c’è un sistema dei tecnici ormai andato in sovraesposizione. Non è di rado vedere un allenatore passare da una prima squadra a diventare l’anno seguente il vice di una blasonata, ciò che un tempo era forse considerato come un’eresia vera e propria.

Dimettersi per far pace con se stessi

Addio alla panchina - Getty images
Lasciare una panchina: gesto da pochi nel calcio italiano – Getty Images

L’addio di Prandelli è stato così metabolizzato come qualcosa di straordinario. Altri addii nel corso degli anni hanno fatto più o meno riflettere. Pensiamo a Davide Nicola e al Crotone, la prima stagione si concluse con una salvezza insperata. Nella seconda annata di Serie A, l’addio del tecnico dopo una sconfitta casalinga per 3-0 contro l’Udinese.

Non che nessuno lo avesse criticato, il Crotone era ormai una squadra abituata alla perenne sofferenza nella massima serie. Bensì la mancanza di stimoli, un gruppo che mentalmente si sentiva appagato e dunque non poteva avere, forse, con il tecnico gli giusti stimoli.

Un caso a parte fu quello di Gian Piero Ventura. Che non si dimise con l’Italia, o almeno ci pensò ma poi non concretizzò quest’opera. Lo fece al Chievo Verona, già inguaiato di suo con tre punti di penalizzazione e una rosa tra le più anziane di Europa. Ventura fece tre gare, un pareggio e consegnò poi l’addio al presidente Campedelli. La rosa non prese bene né il suo arrivo…e né il suo addio, alcune parole pesano nello spogliatoio.

Gli addii spesso si fanno in due, o anche in singola. In questo un maestro è Antonio Conte, che lasciò il Bari da neopromossa, l’Atalanta dopo una lite con i tifosi e la Juventus al primo giorno di ritiro, dopo il record dei 102 punti. Giù il sipario.

 

 

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